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Immigrati, centinaia i colloqui
per i rimpatri assistiti
La crisi colpisce anche chi, dal terzo mondo, arriva in Italia per costruirsi una vita ma non ce la fa e deve tornare al proprio paese. Vitiello (Caritas): "Nel 2012 si sono rivolte ai nostri sportelli di ascolto migranti 1.064 persone"
Trecento colloqui e 28 rimpatri assistiti tra i migranti delle province di Bologna, Modena e Forlì-Cesena. Si è conclusa la scorsa estate la prima fase di Remida, il programma finanziato dal Fondo europeo per i rimpatri 2008-2013 che accompagna verso il rientro in patria i migranti che ne fanno richiesta.
Remida 1 si è occupato solo di persone di nazionalità marocchina e ha coinvolto solo tre province della regione. Da ottobre 2012 è stata avviata la seconda fase, allargando il campo anche a Tunisia, Senegal e Sri-Lanka, ed estendendo l'azione anche in provincia di Ravenna, a Milano, Brescia e Pavia. A oggi i colloqui per richiedere il rimpatrio sono stati 400, la metà solo in Emilia-Romagna. "Il programma - spiega Alice Fanti, coordinatore del progetto per l'ong Cefa - si rivolge solo a persone regolarmente residenti sul territorio e considerate vulnerabili, cioè che hanno perso un lavoro, una casa e che hanno subito o sono sotto sfratto. Scopo di Remida non è di incentivare il ritorno in patria, ma di accompagnare chi ne fa richiesta e rispetta i requisiti".
Le persone irregolari non possono fare richiesta, così come come chi ha una carta di soggiorno che gli permette di restare in Italia senza scadenza. "In Italia - racconta Fanti- facciamo orientamento per arrivare alla creazione di un business plan per l'apertura di una microattività, poi acquistiamo i biglietti aerei. In loco accompagniamo la creazione dell'impresa, garantiamo duemila euro da spendere in beni e servizi
nel rispetto del business plan". A presentare più domande i marocchini, seguono i senegalesi e i tunisini.
Famiglie spezzate, disperazione e sradicamento. Queste le situazioni che spingono molti migranti a chiedere il rimpatrio assistito. A raccontare cosa significa chiedere di tornare da dove si è venuti è la coordinatrice del centro di ascolto per migranti Paola Vitiello. "Stiamo parlando di progetti migratori falliti. Le persone che ci chiedono di tornare sono state spesso travolte dalla crisi, hanno uno sfratto sulle spalle e magari non riescono già più a pagare le bollette. Succede allora che moglie e figli ritornino a casa e l'uomo resti in città sperando di trovare lavoro. Quasi sempre inutilmente". Vitiello spiega come la Caritas finanzi per questioni di risorse solo rimpatri isolati, "ci è capitato con qualche rumeno, magari persone malate che vogliono tornare e hanno bisogno di pagarsi il bus".
I veri problemi arrivano quando la coppia sceglie la via del ritorno e con loro deve partire anche il figlio adolescente. "Per i ragazzi rappresenta un doppio sradicamento, dopo aver vissuto per anni in Italia come stranieri sono costretti a tornare nella terra dei genitori, e si sentiranno stranieri anche lì". Il problema, come sempre, è la crisi economica. Nel 2012 si sono rivolte agli sportelli di ascolto migranti della Caritas 1.064
persone, 466 facenti parte di un nucleo familiare e 598 single. A fare la parte del leone il Marocco, poi la Romania, la Tunisia, l'Ucraina e la Nigeria.
(Repubblica.it 08 marzo 2013)
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